Buongiorno a tutti e grazie a chi vorrà dedicare un po' di attenzione al mio messaggio...
Sono fidanzata da 5 anni con un ragazzo di 35....è dolce, intelligente e sensibile, oltre che attraente fisicamente e sportivo...Anzi..lo sarebbe se non fosse per un disturbo che ormai da 10 anni lo assilla...è convinto di essere prossimo all'infarto...sente sempre dolori al petto, fatica a respirare, extrasistole..e non fa che controllare il battito e la pressione...Non immaginate neppure quante visite, quanti specialisti e quante sale di pronto soccorso abbia visitato negli anni...ma nessun esito, nessuna rassicurazione, nessuna dimostrazione pratica e scientifica sul suo ottimo stato di salute fisica è mai stato sufficiente a placare la sua ansia, la sua preoccupazione, le sue somatizzazioni ed il conseguente stato depressivo. Sin dall'inizio del malessere è stato in cura dai grandi specialisti..psichiatri e psicoterapeuti che non sono riusciti, però, dopo tante sedute e farmaci, ad aiutarlo nella sua ricerca di equilibrio...Negli ultimi anni, in particolare, la situazione è degenerata..ha dovuto chiudere un'attività in proprio perché non riusciva a portarla avanti...non esce più...e anche quando viene da me l'ansia non si placa...si è ritirato da tutto..sport, amici, momenti di socialità e di incontro che in passato gli permettevano di avere una vita sociale...il risultato è che NON VIVE PER PAURA DI MORIRE! E' paradossale...e ovviamente la sua condizione non ha niente di razionale..ha il terrore di perdere tutto e tutti per via di questo suo disturbo..la fine dell'azienda lo ha portato nello sconforto più totale ed alla convinzione di essere giunto al capolinea e di non poter più fare nulla nella vita...stargli accanto non è affatto semplice...è frustrante non riuscire ad aiutarlo e vedere che neppure le terapie gli permettono di stare meglio...io credo che alla base di tutto ci sia una sua carenza di autostima, la necessità di affetto e di presenza che esprime nella sua malattia (che inconsciamente è un modo per attirare l'attenzione), il terrore di sentirsi solo e abbandonato...una gran paura di vivere e soprattutto una fuga da situazioni che richiedono un impegno ed una responsabilità che crede di non essere in grado di affrontare....(forse è troppo severo con sé stesso...non conosce le mezze misure...o fa le cose al massimo o non le fa per niente...). In casa, coi suoi, la situazione è sempre sull'orlo della discussione...ha in particolare un rapporto particolare con sua madre (a mio parere emotivamente dipendente), per cui quando discute con lei o pensa che lei si possa allontanare, la sua situazione peggiora...
Io non sono un medico..cerco di capire e gli sto accanto..ma non ho ancora capito quale sia il modo migliore per aiutarlo nel suo cammino verso la consapevolezza senza peggiorare la situazione...di certo lo psichiatra (e psicoterapeuta) sta facendo del proprio meglio...ma oramai sono passati così tanti anni che per chiunque sarebbe difficile non scoraggiarsi...
Comunque, scusandomi per essere stata logorroica, vorrei solo sapere se qualcuno possa darmi un consiglio sul comportamento più utile da assumere con lui (razionale, ansioso, compassionevole...non so più!). Qualcuno di voi ha gli strumenti per farlo? oppure ha già affrontato e superato con successo una situazione simile? Mi aiuterebbe e mi conforterebbe tanto potermi confrontare con voi....
Grazie ancora e buona giornata...
Betzi